ATTILA A BOLOGNA
Bravi i cantanti, direttore (Michele Mariotti), coro e orchestra impeccabili, scenografie degne ,
in genere, di lode, ma ecco che, a inizio della quarta scena del primo atto, nel
momento in cui Ezio, generale romano interpretato da un baritono, si presenta
sulla scena, anziché trovarci innanzi un uomo con armatura, sandali, toga, o
giù di lì, sul palcoscenico si presenta un soggetto con basco nero, vestito da
gerarca fascista! Seguito da un seguito di seguaci in altrettanta foggia
vestiti!
Vado a cercare sul libretto cosa sta scritto, ma non
trovo nulla di simile.
Verdi parla infatti di Aquileia, della metà del quinto
secolo, di Unni, Eruli, Ostrogoti.
Vado su Wikipedia, anche se non ce ne sarebbe bisogno,
e noto che il Fascismo è nato nei primi anni del Novecento, si è affermato dal 1922
con la marcia su Roma, quindi ben quattordici secoli dopo l’epoca cui Verdi si
riferisce. Non solo: Verdi non poteva saper nulla di Fascismo, visto che è
morto nel 1901.
E allora mi vien da dire… siamo alle solite!
Musiche perfette, interpretazioni vocali di grande
calibro, rispetto della partitura fino alla più piccola delle note, o alla più
impercettibile delle variazioni agogiche o di intensità sonora si
contrappongono alla scorrettezza di registi che a volte ti vien da chiedere se
sanno che cosa stanno dirigendo, se hanno minimamente letto il libretto dell’opera,
se, insomma, ne hanno una coglia…
E poi, per sopramercato, mi fanno uccidere Attila da
Odabella, figlia del Signore di Aquileia, legato a due grosse corde, inerme ed
impossibilitato non solo a difendersi, ma persino a muovere un dito.
Ma Odabella non era un’intrepida, coraggiosissima guerriera?
Alla faccia!
Una riflessione: l’opera non piace ai giovani, che non
riescono, il più delle volte, a capirla.
Questi registi, tra cui questo di Attila (Daniele
Abbado, che nulla pare abbia preso dal Padre, che tutti compiangiamo) non
aiutano certo l’opera a riprendere piede tra i giovani, ma neppure aiutano i
vecchi come me a tornare a vederla, delusi da una sorta di presunte incompetenza,
arroganza e vanagloria della quale pare proprio non ci si riesca a liberare.
Pier Giacomo Zauli