Faenza,
14 settembre 2015
COSA FARE A
FAENZA QUANDO SEI MORTO
Un caleidoscopio di narrazioni fantastiche, ma non troppo,
una miscela che va da Emanuele Filiberto di Savoia a Platinette, da Roberto
Bolle a Woody Allen, ai politici… e, per contro, un secondo caleidoscopio, in
cui si trovano tutte le sfaccettature della crisi esistenziale che porta il
protagonista a rifiutare il mondo, a vederlo con gli occhi disincantati di chi
ha avuto, in tutta la vita, un solo attimo di felicità, costituito dalla
spasmodica attesa di una partita di pallone nella zona del Polesine, o da due
giorni, anzi 45 - 46 ore in tutto l’arco della vita di non vi dico cosa, altrimenti vi svelo
tutto.
Un bel libro, che mi sono letto tre volte in due
giorni, cosa mai capitata prima, ma che mi ha davvero coinvolto, per le storie
demenziali, in parte reali ed in parte create da molta fantasia in esso
raccolte, sempre, però, intercalate da esperienze di vita realmente vissute, o
parzialmente inventate, un secondo caleidoscopio che costantemente si intreccia
con il primo, che danno l’idea di un uomo circondato, stordito da un mondo di
pettegolezzi assurdi, di spettacoli, pubblicità, password incredibili, ma che
si ferma, costantemente, a pensare: al suo passato, al comportamento dei
cittadini sulle piste ciclabili di via
Firenze, in quel di Faenza, al dramma di
un essere venuto da un paese del centro - nord Italia, ma non capito da uno
della Romagna e che trascorre la sua vita, anzi, no, le sue giornate, tra
Faenza, Brisighella e il desiderio irrefrenabile, che poi realizzerà, di
realizzare qualcosa nell’acquedotto di Cervia, in quanto a Faenza un acquedotto
non esiste proprio.
Pagine proprio da non perdere? O da rileggere almeno
due volte? 30 e 31, 92 e 93, 139!!!, 153 (dove si capisce chi è l’interprete).
Ma non perdetevi neppure la tristissima pag. 29, le pag. 106 e 107, dove crolla
proprio un mito… o il pensiero a un nigeriano di cinquantasette anni morto di
freddo della pagina 9 e 10, forse l’unica affermazione davvero tragicamente
reale del libro.
Attenzione alla pag. 135: credo che Gene si riferisse,
nella quinta riga, a Brisighella, e non a Brighighella (ma quale è quel libro
dove non c’è neppure un errore?), mentre non credo sia un refuso, ma un refuso
fortemente voluto, quello in cui parla, a pag. 145, di “flipperi” e non di flipper (come avrebbe
voluto il Pittano) o di flippers, come avrebbero desiderato i centoventunmilionitrecentosessantottomilacentotrentadue insegnanti di Lingua Inglese sparsi per il mondo!
Il libro, per alcune scene narrate e un linguaggio non
sempre da educanda è sconsigliato, direi vietato ad un pubblico non
maggiorenne, ma può essere consigliato a tutti coloro che, oltre ad avere più
di diciotto anni, si pongono in questa lettura, davvero desueta, pensando a chi
ha scritto il libro ed alla sua visione del mondo e della vita.
Pier Giacomo Zauli
“Cosa fare a
Faenza quando sei morto”
Bompiani
Editori, collana AsSaggi, € 14