LA VOCE DEL FANCIULLO:
COME INSEGNARE A UN FANCIULLO A CANTARE
Insegno ai
bambini dai 9 - 10 anni in su. E lo faccio da oltre trent’anni.
Quando ero
piccolo io, nessuno mi ha mai insegnato a cantare. I miei insegnanti si
limitavano a dirmi: “canta come credi”… ed io ho cantato, ed anche parecchio,
in varie parti d’Italia, senza mai perdere la voce. La mia prima insegnante, a sei anni, è stata
Suor Nazarena Francesconi, suora dalle doti eccezionali, che mi ha instradato
all’arte dei suoni, sia come cantante, sia come studente di pianoforte. Poi, a
otto anni, il mio insegnante è stato il Maestro Ino Marocci che mi ha fatto
cantare e suonare e mi ha veramente istradato lui, appassionato jazzista, ma
competentissimo di lirica, nella strada della voce impostata, sì, insomma, per
intenderci, quella dei cantanti lirici.
A questi due
insegnanti debbo veramente moltissimo.
Poi, a 11
anni, il Maestro Marocci mi ha detto: “smetti di cantare, perché, nell’età
dello sviluppo, è meglio lasciar perdere, in quanto le corde vocali si
modificano, e non vorrei che tu perdessi per sempre la voce”. E allora, sapete
che ho fatto? Da bambino ubbidiente, incoraggiato nella scelta anche da mia
madre, non ho più aperto bocca (ma veramente, intendo dire proprio che non ho
più emesso una nota, neppure con gli amici, alle feste) fino a ché non ho
compiuto 18 anni.
A 18 anni
precisi andai dal Maestro Campogalliani (maestro di Pavarotti, insieme al
Maestro Arrigo Pola, consigliere di nomi eccellenti, come la Tebaldi, Di
Stefano, Pavarotti stesso) a farmi sentire, ed egli appoggiò largamente la
scelta fatta dal Maestro Marocci, consigliandomi, anzi, di aspettare ancora un
annetto prima di cominciare, in quanto la voce non era ancora del tutto
“matura”. Ovviamente, da diciottenne ubbidiente, ubbidii un’altra volta e, per
circa sette – otto mesi rimasi muto come un pesce sott’acqua.
Quando
ripresi a cantare avevo veramente la voce di un pesce fuor d’acqua, e mi ci
sono voluti molti anni per raggiungere una tecnica che mi permettesse anche
solo di cantare degnamente “Caro mio ben” di Giordani…
Allora,
oggi, dopo l’esperienza passata, mi chiedo: “Ha senso far smettere
completamente un individuo di cantare, perché è “malato” di muta della voce?”
La mia
risposta è: “No, non ha proprio senso!” Naturalmente, con le precauzioni che,
ora, cercherò di esporvi:
COME DEVE CANTARE UN BAMBINO.
PARTIAMO DAL FIATO
L’errore più
grave che può commettere un insegnante di canto è quello di dire, a proposito
del fiato: “respira come ti ha insegnato la mamma”.
A parte che
la mamma, in questo senso, non ti ha insegnato un bel nulla, a meno che non si
parli di “madre natura”, la respirazione per il canto è assai dissimile di
quella che facciamo per dormire o per sopravvivere.
Il canto, ad
ogni età, necessita di un respiro potente, che garantisca un appoggio costante
alle corde vocali, lasciandole libere di vibrare senza intoppi.
Spiegatelo
come volete, come meglio vi viene, il respiro, a un alunno delle elementari o
delle medie, ma spiegateglielo!
Il respiro
di un marmocchio di sette anni, riguardo al canto, è simile, anzi, no, uguale a
quello di un preadolescente, di un adulto normale, di unncantante di lirica, o
di musica leggera, di venti, trenta, settant’anni.
Il fiato
deve essere compresso verso l’alto, ossia verso le corde vocali.
Chiedetevi
quando comprimete il fiato.
Se siete
suonatori di tromba, sapete come si fa. La “pernacchia intonata” che fanno i
suonatori di tromba quando soffiano in un bocchino non potrebbe essere fatta se
non usassero la compressione diaframmatica. Ma guai a non spiegarlo neppure a questi
signori degli ottoni!
Quando
cantano, sembra che non sappiano fare più nulla. Eseguono le note, con le corde
vocali, con lo stesso fiato che avrebbe uno che dorme!!! Forse sono spaventati all’idea
di utilizzare due muscoletti che, pur messi in senso opposto alle labbra,
funzionano esattamente come queste.
COME SPIEGARE A UN BAMBINO L’USO
DEL DIAFRAMMA
Non saprei
proprio dare una regola generale. Vi dico come faccio io.
Parto da un
esempio semplice, che possono aver fatto molti alunni. Parto da una domanda:
“Come fate
per spegnere le candeline sulla torta del vostro compleanno?”
Oppure:
“Provate a pronunciare questo verso: “CS” e a tenerlo per qualche secondo,
prolungando, con intensità forte, la “esse” oppure, nel caso abbiate per le
mani un suonatore di tromba: “Come fai a far suonare le tue labbra sul
bocchino?” E lo si fa provare. Senza il bocchino.
Il mio
maestro di canto di Milano, Wladimiro (Valdomiro) Badiali, quando si accorse, la prima volta che andai da lui, dopo tre anni che
cantavo “da adulto” con un altro insegnante, che non usavo il diaframma, mi disse: “Cosa faresti se ti
dessi un pugno nello stomaco?” E quell’esempio bastò per mettere a posto il mio
diaframma e per cominciare a farmi respirare da cantante.
Insomma, ci
si si prova insieme, a mettere a posto il “diaframma”.
Si controllano
uno a uno i fanciulli (cosa indispensabile anche con gli adulti) e, in
particolare, si osserva, tastandoglielo con le mani, se hanno il diaframma
teso, rivolto verso l’alto (naturalmente, parlo di diaframma in modo improprio,
infatti dovrei parlare della tensione, della spinta dei muscoli addominali e
dorsali che, comprimendo sul diaframma, lo spingono verso l’alto,
consentendogli di premere l’aria contenuta nei polmoni…) Comunque, d’ora in avanti,
quando parlo di diaframma parlo di questa cosa qui.
Il diaframma
“vero” è un muscolo utilissimo, nella nostra vita normale.
Esso,
infatti, è indispensabile per respirare anche la notte; aiuta la digestione
(l’espulsione delle scorie), spingendo verso il basso; aiuta le corde vocali a
mantenersi intonate, sane, e a non affaticarsi quando si canta (spingendo verso
l’alto). L’importante è non favorire l’espulsione delle scorie mentre si canta…
Bene, a
parte gli scherzi, il cantante deve spingere il fiato verso l’alto, sia che
abbia sei anni, sia che sia al crepuscolo della vita…
Quando
canta, qualsiasi individuo, per mantenere una buona intonazione, farsi magari
sentire anche da lontano, quando occorre, e preservare le corde vocali, deve
usare questo tipo di respirazione.
Per gli
esercizi adatti a a svilupparla, e a rendersene conto, vedi, su questo sito, il
seguente collegamento: http://www.piergiacomozauli.it/categorie03.asp?id=16
COME DEVE USARE LA VOCE IL
FANCIULLO
Qui dobbiamo
fare un distinguo tra la voce del fanciullo che canta in un coro e quella del
bambino che vuole cantare da solista.
Cominciamo
dal secondo.
Il solista
deve mantenere la voce che ha, ossia deve avere un suo timbro, particolare in
tutto, deve saper manovrare la voce in varie situazioni, essere in grado di
esprimere i pianissimo come i fortissimo, essere espressivo e personale.
Per questo
motivo, la sua voce deve essere solo sua, diversa da quella di tutti gli altri.
E’ una voce
personale anche nell’estensione. L’unica cosa che deve avere in comune con il
corista è l’intonazione.
La voce del
corista, invece, deve uniformarsi a quella degli altri: non deve sbucare come
un fungo da un prato!
Non deve
essere troppo forte, deve amalgamarsi il più possibile con quella degli altri.
Non tutti
sono adatti a fare i coristi. Molti, magari scartati consigliando loro di non
essere portati per il canto, diventano, col passar del tempo, degli ottimi
solisti.
A questo
proposito, mai sconsigliare qualcuno dal cantare perché, magari, non perfettamente intonati. Stonati non si nasce, si
diventa; intonati, e artisti, si può sempre diventare…
LA TECNICA DEL VOCALIZZO
Comunque
abbia la voce un fanciullo, la cosa importante è educargliela, far sì che non
si stanchi, rendergli l’atto del cantare il più facile e divertente possibile.
La prima
regola, per me, è quella di far cantare il fanciullo nel giusto tempo
possibile.
Per fare un
esempio: non più di mezz’ora.
IL FANCIULLO SOLISTA
Una lezione
a un solista, per esempio, potrebbe essere costituita da dieci minuti di
vocalizzi, fatti in modo molto progressivo, con un’estensione massima da Lab 2
a Re – Mib 4 (esternazione di un’ottava e mezzo circa) seguiti dall’esecuzione
di due o tre canzoni. Il vocalizzo, nelle prime lezioni deve servire unicamente
per scaldare la voce, mentre, in seguito, quando l’insegnante ha capito con che
solista ha a che fare, può variarne l’estensione, curarsi dell’emissione
corretta, prevedere i piani ed i forte, ecc.
IL FANCIULLO CORISTA
Per un corista,
l’importante è avere la voce omogenea, il cantar facile, senza mostrare, o
subire, sforzo alcuno, senza esprimersi
in modo personale, ma cercando di mantenere sempre una linea di canto che gli
consenta di amalgamare la sua voce con quella degli altri in ogni occasione.
Il corista,
inoltre, più del solista, deve rispettare tutti gli ordini del direttore di
coro, conoscere i suoi movimenti, i suoi suggerimenti dinamici, agogici ed
espressivi.
Un coro di
voci bianche (tra i cinque – sei anni e gli 11 – 12) può essere, tendenzialmente, misto, senza
problemi (in effetti, a quella età, in linea di massima, l’acutezza vocale e il
timbro tra il maschio e la femmina quasi si equivalgono).
La “lezione”
potrebbe svolgersi in questo modo:
10 minuti di
vocalizzi, per scaldare la voce, cercando di renderla il più uniforme
possibile. Per fare questo, potrebbe essere utile dividere gli alunni in
piccoli gruppi, di tre o quattro, e “farli ascoltare” tra loro, prima di far
eseguire il vocalizzo tutti insieme. Non occorre fare molti vocalizzi. In linea di massima, per scaldare la voce, bastano tre vocalizzi; quelli che si possono trovare al seguente link, adeguatamente regolati nella tonalità adatta al fanciullo: http://www.piergiacomozauli.it/categorie03.asp?id=35
Una volta
fatti i vocalizzi, se si vogliono far
cantare canzoni omofone, si può cominciare direttamente, mentre, se si vuol
creare un coro polifonico (mettiamo, a due voci) potrebbe essere utile (opzione
auspicata ma il più delle volte non possibile) essere in due a dirigere: uno
prende una voce, uno l’altra, poi si uniscono… Nel caso non sia auspicabile
questa opzione, beh, si prova prima una voce (e si impara bene), si prova
l’altra e (Dio ce la mandi buona…) si mettono insieme le due voci.
Il canto, in
una lezione di un’ora, non deve essere continuo, ma deve prevedere ampi momenti
di riposo, di gioco, di dialogo, di spiegazione. In questo modo si ottengono
due risultati: il primo è di non stressare i coristi, il secondo è di non
passare oltre la mezz’ora o poco più di canto.
Attenzione
alla scelta del repertorio!!!
Deve essere
appetibile, divertente, coinvolgente, adatto all’età ed al tempo che i ragazzi
vivono. Fare Palestrina o un canto popolare di duecento anni fa a 7 anni può essere possibile, ma deve valerne
proprio la pena…
Pier Giacomo
Zauli