BRANI MUSICALI PORTATORI DI IDEOLOGIE
INDICE
TITOLO
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Ecce torpet probitas
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F. J. Haydn: “Sinfonia degli addii”
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G. Verdi: “Va pensiero”
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Bertoldi, Rossi: “Inno al Re”
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Mameli – Novaro: “Fratelli d’Italia”
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Anonimo: L’è morto Radetzky
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G. Verdi: “Giuriam d’Italia”
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Anonimo: “El pover Luisin”
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G. Verdi: “Inno delle Nazioni”
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“La ballata di Sante Caserio
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Anonimo: “O Gorizia tu sei maledetta”
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F. De André: “La guerra di Piero”
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Anonimo: “La canzone del Piave”
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Anonimo: “Giovinezza”
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Anonimo: “Il delitto Matteotti”
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“Faccetta nera”
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“Se prenderemo il Negus”
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Pinchi – Crivel: “Ti saluto vado in
Abissinia”
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Anonimo: “Bella ciao”
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Anonimo: “Fischia il vento”
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F. Guccini: “L’atomica cinese”
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Migliacci – Luisini: “C’era un ragazzo che
come me”
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B. Dylan: “Blowin’in the wind”
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Inno nazionale americano
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Sting: “Russians”
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Sting: “We work the black seam”
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F. De André: “Il cantico dei drogati”
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A Venditti: “Lilly”
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Simple minds: “Mandela day”
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Sting: “They dance alone”
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BRANI MUSICALI
PORTATORI DI IDEOLOGIE
La musica
può servire a molteplici scopi: per intrattenere, per ballare, per allietare
una festa…
Esiste,
però, una parte della produzione musicale vuole trasmettere un pensiero, una
ideologia. Molti compositori hanno fatto dell’arte dei suoni il loro veicolo
preferito per tramandare le loro idee ai posteri. E questo, praticamente, da
sempre.
Iniziamo la
nostra “carrellata” su questo argomento partendo dal Basso Medioevo, epoca in
cui alcuni musicisti iniziarono a dire la loro con poesie, per quei tempi,
spregiudicate, in quanto parlavano dell’amor cortese, della perdizione nel
gioco, della contestazione ai valori mancati della Chiesa.
I “Carmina
Burana” sono una raccolta di poesie, scritte in latino, da clerices vagantes
(chierici vaganti), ossia da studenti che vagavano per tutta Europa al fine di
studiare, nelle varie biblioteche, le materie a loro più congeniali. Godevano di particolari privilegi, riservati
ai chierici; per questo motivo erano nominati “clerices” anche se
non avevano mai preso i voti.
Ti propongo
l’ascolto di un brano scritto da loro in latino, intitolato “Ecce torpet
probitas”, nella traduzione in italiano.
ECCE TORPET
PROBITAS
TESTO
TRADOTTO
L’onestà
è morta, la virtù è sepolta, la generosità è ormai rara e l’avarizia dilaga; la
falsità dice il vero e la verità si fa menzogna.
Tutti
calpestano la legge e praticano impunemente azioni illecite.
Regna
l’avarizia e regnano gli avari; ciascuno avidamente si sforza solo di
arricchire, poiché la gloria più grande è vantare il proprio censo.
Tutti
calpestano la legge e senza alcuno scrupolo commettono ogni sorta di malvagità.
Arreca
molto fastidio il verbo “dare”; più di tutti hanno imparato a ignorarlo i
ricchi, che si possono paragonare al mare.
Tutti
calpestano la legge e possiedono ricchezze tanto grandi che non riescono a
contarle.
Si tratta di
un’invettiva contro i ricchi e gli avari, che si preoccupano solo di
arricchire, senza preoccuparsi né di rispettare la legge, né dei problemi degli
altri.
Questi testi
erano cantati, ma non si hanno parti scritte di musica, quindi i musicisti che
li hanno eseguiti hanno dovuto ricostruire le probabili procedure musicali cui
essi si potrebbero essere attenuti. Per questo motivo esistono varie versioni
dei “Carmina Burana”.
Eccotene
due, particolarmente significative:
La prima,
eseguita da un solista, accompagnato da vari strumenti: un liuto, uno strumento ad arco (probabilmente
una crotta), un flauto e altri strumenti a fiato, tutti strumenti
particolarmente amati dai cantori del Medioevo. Il ritmo è ternario e
l’andamento lento. Il cantore ha una voce dolce, morbida.
http://www.youtube.com/watch?v=x1ZE7OEwGu8
La seconda
versione è assai diversa. L’introduzione è costituita da dei tamburi che
eseguono una ritmica potente, in 6/8, battuta binaria costituita da due
movimenti ternari. Il cantore ha una voce grave e potente, molto timbrata,
ritmica, non sostenuta da alcuno strumento melodico.
Questa
versione, quindi, pur musicando lo stesso testo, è assai differente dalla
precedente.
http://www.youtube.com/watch?v=ic92iPrVX8I
LA SINFONIA DEGLI
ADDII DI HAYDN
Franz Joseph
Haydn (1732 – 1809) scrisse la sinfonia n. 45, in Fa# minore, durante il suo soggiorno alla residenza
estiva del principe Nikolaus Esterhàzy, il suo mecenate. Il principe, che amava
tantissimo la musica, possedeva un’intera orchestra, che Haydn dirigeva e per
la quale componeva brani di tutti i
tipi. Con essa doveva esibirsi tutti i giorni, senza tregua. Addirittura, senza
un solo giorno libero, per tutta l’estate.
I musicisti
espressero l’inevitabile malcontento al loro direttore.
Haydn, molto
educatamente, fece esprimere la loro “rivendicazione sindacale” non con le
parole, ma con la musica.
Scrisse
infatti la “Sinfonia n. 45”, detta poi “degli adii” in quanto, nell’ultimo
movimento, gli strumentisti, uno ad uno, spengono la candela che hanno sul
leggio e lasciano l’orchestra. Rimane solo un violino che, terminato anche lui
il suo pezzo, insieme al direttore, lascia il palcoscenico vuoto.
Il segnale
fu dato, in questo garbatissimo modo, al Principe, che, pare, lasciò un giorno
libero alla settimana ai musicisti che componevano l’orchestra.
Ascolta
l’ultimo movimento di questa sinfonia attivando il link sottostante.
http://www.youtube.com/watch?v=TpAmXxXGNLI
VA PENSIERO
SULL’ALI DORATE (1842)
Giuseppe
Verdi (1813 – 1901) scrisse l’opera “Nabucco” nel 1842.
L’opera si
ispira alla Bibbia, ai conflitti tra Babilonesi ed Ebrei. E’ un grande affresco
corale, nel quale i protagonisti (Nabucco, Abigaille, Fenena…) si inseriscono
per dare senso e unità alla vicenda.
L’opera fu
scritta da Verdi in un momento di profondissima crisi: da pochi mesi gli erano
mancati i due figli, in tenerissima età, seguiti dalla moglie.
Rimasto
solo, incitato dagli impresari a riprendere il suo lavoro di compositore,
scrisse “Nabucco”, con il quale ebbe uno dei più grandi successi della sua
lunga carriera.
Nabucco non
fu un’opera scritta con scopi patriottici, ma il popolo, ascoltando la
preghiera degli Ebrei affranti, specialmente durante le parole “O mia patria sì
bella e perduta”, intravide nella situazione degli antichi Ebrei lo stesso
desiderio di libertà dallo straniero che animava il popolo italiano, oppresso
dagli Austriaci. La musica è
coinvolgente, dolce, nostalgica, sottolineata dal ritmo di un valzer.
Il coro è
strutturato in modo abbastanza semplice. Infatti è omoritmico, a quattro voci
e, nelle parti più accorate, omofono. Ciò
permette una notevole comprensione del testo. Testo che fu percepito dagli ascoltatori che
lo interpretarono come un brano di stampo patriottico.
Tanto
patriottico che più volte, dopo l’unione dell’Italia, anche in tempi recenti,
fu proposto come inno nazionale, al posto di “Fratelli d’Italia”.
Ti propongo
il suo ascolto nella direzione di Riccardo Muti, a Montecitorio, alla Camera
dei Deputati, nel 150° anniversario dell’unità d’Italia. Leggi il testo, mentre ascolti.
http://www.youtube.com/watch?v=RRl6hPaBU8A
VA PENSIERO
Va,
pensiero, sull'ali dorate; va, ti posa sui clivi, sui colli, ove
olezzano tepide e molli l'aure dolci
del suolo natal!
Del
Giordano le rive saluta, di Sionne le torri atterrate... oh
mia Patria sì bella e perduta! oh
membranza sì cara e fatal!
Arpa d'or dei fatidici vati, perché muta dal salice pendi? le memorie nel petto riaccendi, ci favella del tempo che fu!
O
simile di Solima ai fati traggi un suono di crudo lamento, o
t'ispiri il Signore un concento che ne
infonda al patire virtù!
DA DOVE DERIVA IL TESTO DI “Va
pensiero”?
Le parole di
questo coro derivano nientemeno che dalla Bibbia. Sono state tratte e
rielaborate, dal librettista Temistocle Solera, dal Salmo 137, che recita:
Là, presso i fiumi di Babilonia, sedevamo e
piangevamo, ricordandoci di Sion; sui salici di quella terra avevamo appese le
nostre cetre.
Là, quelli che ci avevano condotti in cattività ci
chiedevano le parole di un canto, sì, quelli che ci opprimevano chiedevano
canti di gioia, dicendo: "Cantateci un canto di Sion".
Come avremmo potuto cantare i canti dell'Eterno in un
paese straniero?
Se mi dimentico di te, o Gerusalemme, dimentichi la
mia destra ogni abilità;
resti la mia lingua attaccata al palato, se non mi
ricordo di te, se non metto Gerusalemme al di sopra della mia più grande gioia.
Ricordati, o Eterno, dei figli di Edom, che nel giorno
di Gerusalemme dicevano: "Demolitela, demolitela fin dalle
fondamenta".
O figlia di Babilonia, che devi esser distrutta, beato
chi ti darà la retribuzione del male che ci hai fatto!
Beato chi prende i tuoi bambini e li sbatte contro la
roccia!
Il Salmo 137 è il ricordo di un Giudeo
che, dopo le sofferenze patite nella schiavitù, ha la speranza di rivedere
Gerusalemme ricostruita.
Ricorda le umiliazioni subite dagli
esiliati, l’aver appeso le cetre ai salici, l’attentato alla fede fatto dai
carcerieri.
Ricorda le crudeltà degli Edomiti, durante
la distruzione di Gerusalemme, ed invoca sul suo capo la giustizia divina.
Invoca inoltre la distruzione, per vendetta, di Bozra, la città principale di
Edom.
INNO
AL RE
Questo inno a Re divenne l’inno di
guerra dei Piemontesi, nella Prima Guerra d’Indipendenza. Scritto da Giuseppe
Bertoldi, e musicato da Rossi, questo inno deve la sua nascita al benvolere che
gli italiani provarono verso Carlo Alberto, dopo che si mise sulla via delle
riforme, alla concessione dello Statuto e alla guerra all’Austria, che lo portò
alla sconfitta di Novara e all’abdicazione verso Vittorio Emanuele II.
Questo inno fu cantato a Genova per la
prima volta il 3 novembre 1847 e divenne il vero inno di guerra dei Piemontesi
tra il 1847 e il 1849.
Nel 1832 Carlo Alberto aveva ordinato al
Maestro Gabetti una marcia reale d’ordinanza, senza parole, che seguì le
truppe italiane in tutte le sue imprese
e, in seguito, fece scrivere al poeta Giuseppe Bertoldi il testo di questo inno,
musicato poi da Luigi Felice Rossi.
Ecco il testo:
Con
l'azzurra coccarda sul petto,
Con
italici palpiti in core,
Come
figli d'un padre diletto,
Carlalberto,
veniamo al tuo pie';
E
gridiamo esultanti d'amore :
Viva
il Re! Viva il Re! Viva il Re!
Figli
tutti d'Italia noi siamo,
Forti
e liberi il braccio e la mente ;
Più
che morte i tiranni aborriamo,
Aborriam
più che morte il servir ;
Ma del
Re che ci regge clemente
Noi
Siam figli, e godiamo obbedir.
A
compire il tuo vasto disegno
Attendesti
il messaggio di Dio :
Di
compirlo, o Re grande, sei degno,
Tu
c'inalzi all'antica virtù.
Carlalberto
si strinse con Pio ;
Il
gran patto fu scritto lassù.
Se ti
sfidi la rabbia straniera,
Monta
in sella e solleva il tuo brando,
Con
azzurra coccarda e bandiera
Sorgerem
tutti quanti con te ;
Voleremo
alla pugna gridando :
Viva il Re !
Viva il Re ! Viva il Re !
http://www.youtube.com/watch?v=FShaCGwnvyU
FRATELLI
D’ITALIA
Anche “Fratelli d’Italia”, scritto
da Mameli e Novaro, appartiene ai canti scritti nel periodo a ridosso della
Prima Guerra d’Indipendenza. Fu composto, infatti, nel 1847.
L’immediatezza delle parole e l’irruenza
della musica lo portarono ad essere il
canto più amato di tutto il Risorgimento. Pensate che anche Giuseppe Verdi lo
utilizzò, al posto della Marcia Reale, nel suo “Inno delle Nazioni”, nel 1862
(vedi l’Inno delle Nazioni, in questo stesso file), insieme agli inni francese
ed inglese.
Diventa inno nazionale della Repubblica
Italiana il 12 Ottobre del 1946.
Leggiamo il testo, prima di ascoltarlo.
FRATELLI
D’ITALIA
Fratelli d'Italia
L'Italia s'è desta,
Dell'elmo di Scipio
S'è cinta la testa.
Dov'è la Vittoria?
Le porga la chioma,
Ché schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.
Noi siamo da secoli
Calpesti, derisi,
Perché non siam popolo,
Perché siam divisi.
Raccolgaci un'unica
Bandiera,
una speme:
Di fonderci insieme
Già l'ora suonò.
Stringiamci a coorte…
|
Uniamoci, amiamoci,
l'Unione, e l'amore
Rivelano ai Popoli
Le vie del Signore;
Giuriamo far libero
Il suolo natìo:
Uniti per Dio
Chi vincer ci può?
Stringiamci a coorte…
Dall'Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,
Ogn'uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano,
I bimbi d'Italia
Si chiaman Balilla,
Il suon d'ogni squilla
I Vespri suonò.
Stringiamci a coorte…
Son giunchi che piegano
Le spade vendute:
Già l'Aquila
d'Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d'Italia,
Il sangue Polacco,
Bevé, col cosacco,
Ma il cor le bruciò.
Stringiamci a coorte…
|
Per ascoltarlo, collegati a:
http://www.youtube.com/watch?v=AcI2IdHhEHE
to, qui di seguito, un commento al testo
dell’Inno Nazionale, preso direttamente dal sito del Quirinale, del quale
fornisco il link in fondo alla pagina. Può essere interessante collegarsi a questo sito per
avere ulteriori informazioni.
La cultura di Mameli è classica e forte è il richiamo alla romanità. È di
Scipione l'Africano, il vincitore di Zama, l'elmo che indossa l'Italia pronta
alla guerra
Una bandiera e una speranza (speme) comuni per l'Italia, nel 1848
ancora divisa in sette Stati
In questa strofa, Mameli ripercorre sette secoli di lotta contro il dominio
straniero. Anzitutto,la battaglia di Legnano del 1176, in cui la Lega Lombarda
sconfisse Barbarossa. Poi, l'estrema difesa della Repubblica di Firenze,
assediata dall'esercito imperiale di Carlo V nel 1530, di cui fu simbolo il
capitano Francesco Ferrucci. Il 2 agosto, dieci giorni prima della
capitolazione della città, egli sconfisse le truppe nemiche a Gavinana; ferito
e catturato, viene finito da Fabrizio Maramaldo, un italiano al soldo
straniero, al quale rivolge le parole d'infamia divenute celebri "Tu
uccidi un uomo morto"
Ogni squilla significa "ogni campana". E la sera del 30 marzo
1282, tutte le campane chiamarono il popolo di Palermo all'insurrezione contro
i Francesi di Carlo d'Angiò, i Vespri Siciliani
La Vittoria si offre alla nuova Italia e a Roma, di cui la dea fu schiava
per volere divino. La Patria chiama alle armi: la coorte, infatti, era la
decima parte della legione romana
Mazziniano e repubblicano, Mameli traduce qui il disegno politico del
creatore della Giovine Italia e della Giovine Europa. "Per Dio" è un
francesismo, che vale come "attraverso Dio", "da Dio"
Sebbene non accertata storicamente, la figura di Balilla rappresenta il
simbolo della rivolta popolare di Genova contro la coalizione
austro-piemontese. Dopo cinque giorni di lotta, il 10 dicembre 1746 la città è
finalmente libera dalle truppe austriache che l'avevano occupata e vessata per
diversi mesi
L'Austria era in declino (le spade vendute sono le truppe
mercenarie, deboli come giunchi) e Mameli lo sottolinea fortemente: questa
strofa, infatti, fu in origine censurata dal governo piemontese. Insieme con la
Russia (il cosacco), l'Austria aveva crudelmente smembrato la Polonia.
Ma il sangue dei due popoli oppressi si fa veleno, che dilania il cuore della
nera aquila d'Asburgo.
(appunti
da: http://www.quirinale.it/qrnw/statico/simboli/inno/inno.htm
)
L’E’ MORTO RADETZKY
Mentre Verdi
scriveva “La Battaglia di Legnano”, osannato da folle plaudenti, nel marzo
1848, durante le Cinque Giornate di Milano, i monelli milanesi di divertivano a
cantare questo testo, ispirandosi al nome di Radetzky, feldmaresciallo austriaco che fu per lungo
tempo il governatore del Lombardo – Veneto.
“Evviva Radetzky
Cott int’ la pignatta:
Fioeul d’una vacca,
Che broeud ed larà!”
Una seconda versione, un po’ più
“educata” è la seguente:
“L’è morto Radetzky
Lo meto in pignata
Fioeul d’una gata
Che brooeud el farà!”
LA
BATTAGLIA DI LEGNANO(1849)
Le vicende di
quest’opera di Verdi sono ambientate a Milano ed a Como nel 1176, in pieno
Medioevo: è il periodo della lotta tra i Comuni lombardi, riuniti
nella Lega lombarda, che combattono contro Federico Barbarossa.
Milano è minacciata
dalle truppe dell’imperatore tedesco.
Rispetto alla scelta
del soggetto fatta in Nabucco, in questo caso possiamo notare che i due popoli
contendenti sono il popolo italiano e l’austriaco, ossia gli stessi popoli che
combattono tra loro, nel 1849. I milanesi, nel 1176, sconfiggeranno il
Barbarossa, nella Battaglia di Legnano.
L’opera fu
rappresentata per la prima volta il 27 gennaio 1849. Siamo nel periodo della
Prima Guerra d’Indipendenza, scoppiata il 18 marzo 1848 (Cinque Giornate di
Milano) e terminata con la Sconfitta di Novara, nel marzo 1849.
In questo caso, e
solo in questo, Verdi creò un’opera con veri intenti patriottici.
Nell’opera è presente
un coro molto significativo: si tratta di un giuramento in cui gli appartenenti
alla Lega Lombarda dichiarano di essere pronti a combattere, anche a costo
della morte, per liberare l’Italia dallo straniero.
A differenza del coro
del Nabucco, in questo possiamo notare l’utilizzo di sole voci maschili, un
ritmo binario, con un atteggiamento deciso, irruente; l’utilizzo di un coro
omoritmico e prepotente.
Il coro è iniziato da
un intervento di Arrigo (tenore), ambasciatore dei milanesi, il quale incita
alla battaglia la Compagnia della Morte.
CAMPIONI
DELLA MORTE GIURIAM D’ITALIA
Arrigo: Campioni della morte, un altro labbro a proferir s'accinge il magnanimo voto, un altro core
a mantenerlo è presto, pugnando al nuovo di
contro al rapace fulvo signor, che avanza pe' campi di Legnano.
Cavaliere: Arrigo! ... E
vuoi? ...
Arrigo: Con voi morire, o trionfar con voi.
Cavaliere: Lombardo, e prode egli è!
Arrigo: Son per valore l'ultimo forse,
ma per santo amore della patria comun primier m'estimo. O secondo a nessuno.
Cavaliere: Sia, qual ei chiese, del bel numer'uno.
(Al più anziano fra essi, che pone Arrigo in ginocchio a piè d'una tomba, e lo fregia della propria ciarpa:
allora tutti i cavalieri incrocicchiano i brandi sul capo di Arrigo, quindi
lo sollevano e gli porgono l'amplesso fraterno: da ultimo denudata anch'egli la Spada, si pronunzia ad una voce il seguente)giuramento)
Coro: Giuriam d'Italia por fine ai danni,
Cacciando oltr'Alpe i
suoi tiranni.
Pria che ritrarci, pria ch'esser vinti,
Cader fra l'armi giuriamo estinti.
Se alcun fra noi, codardo in guerra,
Mostrarsi al voto potrà rubello,
Al mancatore nieghi la terra
Vivo un asilo, spento un avello:
Siccome gli uomini Dio l'abbandoni,
Quando l'estremo suo dì verrà:
Il vil suo nome infamia suoni
Ad ogni gente, ad
ogni età.
(Partono)
http://www.youtube.com/watch?v=SPsSecTyxm4
EL POVER LUISIN
Siamo sempre
nell’ambiente delle guerre d’indipendenza. 1859: seconda guerra d’indipendenza.
Gli eserciti combattono, l’Austria viene battuta, si ha l’annessione di vari
territori al Regno di Sardegna, ma cosa ne pensava una fanciulla di questa
guerra?
Cosa ne
pensava, per averle tolto la vita, e l’affetto, della persona amata?
Leggi con
attenzione il testo: è in dialetto, ma se ne comprende bene, comunque, il
significato globale. La musica è una ballata, accompagnata dal suono della sola
chitarra, per far capire bene il senso delle parole.
http://www.youtube.com/watch?v=3Fgh01mERgA
Un dì per sta cuntrada
pasava un bel fiö
e un masulin de ros
l'ha trà in sül me pugiö
e un masulin de ros
l'ha trà in sül me pugiö.
E per tri mes de fila
e squasi tüti i dì,
el pasegiava semper
dumà per vedèm mi
el pasegiava semper
dumà per vedèm mi.
Vegnü el cinquantanöv,
che guera desperada!
e mi per sta cuntrada
l'hu pü vedù a pasà
e mi per sta cuntrada
l'hu pü vedù a pasà.
|
Un dì piuveva, vers sera,
s'ciupavi del magun
quand m'è rivà 'na lètera
cul bord de cundiziun
quand m'è rivà 'na lètera
cul bord de cundiziun.
Scriveva la surela
del pover Luisin
che l'era mort in guera
de fianc al Castelin
che l'era mort in guera
de fianc al Castelin.
Hin già pasà tri an,
l'è mort, el vedi pü,
epür stu pover cör
l'è chi ancamò per lü
epür stu pover cör
l'è chi ancamò per lü
|
INNO DELLE NAZIONI
Questa
cantata fu composta da Giuseppe Verdi, in occasione dell’Esposizione Universale
del 1862, che si tenne a Londra. Gli
organizzatori dell’Esposizione richiesero ai maggiori compositori europei di
comporre un inno. Vennero consultati Auber, Meyerbeer, Verdi e Bennet.
Richiesero una marcia, ma Verdi compose un’intera cantata che, per questo
motivo, non fu eseguita per questa occasione.
Fu invece eseguita, con un
enorme successo, al Teatro della Regina, un mese dopo l’esposizione.
Nell’Inno si
possono notare gli inserimenti delle melodie degli inni nazionali francese e
inglese, mentre per l’Inno italiano Verdi scelse “Fratelli d’Italia” al posto
dell’Inno monarchico.
Per un’analisi abbastanza
dettagliata di questo inno, ti mando al seguente link.
http://www.italianopera.org/GuidaAllAscolto/VerdiInnoDelleNazioni.html
In questa sede, ti proponiamo il
testo e, di seguito, l’ascolto.
INNO DELLE
NAZIONI
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CORO DI POPOLO
Gloria pel cieli altissimi,
Pei culminosi monti,
Pel limpidi orizzonti
Gemmati dí splendor.
In questo dí giocondo
Balzi di gioia il mondo,
Perché vicino agli uomini
È il regno dell’ Amor,
Gloria! I venturi popli
Ne cantin la memoria,
Gloria pel cieli! … Gloria!
BARDO
Spettacolo sublime! … ecco … dai lidi
Remoti della terra, ove rifulge
Cocentemente il sol, ove distende
Bianco manto la neve, una migrante
Schiera di navi remigar per l acque
Degli ampli oceani, ed affollarsi tutte
Verso un magico Tempio, ed in quel Tempio
Spandere a mille a mille i portentosi
Miracoli del genio! … E fuvvi un giorno
Che passò furïando, quel bïeco
Fantasma della guerra; allora udissi
Un cozzar d armi, un saettar di spade,
Un tempestar di carri e di corsieri,
Un grido di trionfo … e un uluante
Urlo … e colà ove fumò di sangue
|
Il campo di battaglia, un luttuoso
Campo santo levarsì, eun elegia
Di preghiere, di pianti e di lamenti …
Ma in oggi un soffio di serena Dea
Spense quell ire, e se vi fur in campo
Avversarii crudeli, oggi non v ha
In quel Tempio che Umana Fratellanza,
E a Dio che l volle alziam di laudi un canto.
Signor, che sulla terra
Rugiade spargi e fior
E nembi di fulgori
E balsami d amor;
Fa che la pace torni
Coi benedetti giorni,
E un mondo di fratelli
Sarà, la terra allor.
Salve, Inghilterra, Regina dei mari
Di libertà vessillo antico! … Oh, Francia,
Tu, che spargesti il generoso sangue
Per una terra incatenata, salve, oh Francia, salve!
Oh Italia, oh Italia, oh Patria mia tradita,
Che il cielo benigno ti sia propizio ancora,
Fino a quel dí che libera tu ancor risorga al sole!
Oh Italia, oh Italia, oh Patria mia!
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Puoi ascoltare le due parti dell’Inno ai seguenti link:
http://www.youtube.com/watch?v=rLumkfqMZ6M&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=tAASXgh8nAk&feature=related
LA BALLATA DI SANTE CASERIO
Questo canto descrive le ultime ore di
Sante Caserio (1873 – 1894), anarchico che uccise, il 24 giugno 1894, il
Presidente francese Carnot, pugnalandolo al cuore.
La vita di Caserio è piuttosto
movimentata. A 10 anni, dal paese di Motta Visconti, fugge di casa e va a
Milano, dove trova lavoro come garzone di un fornaio.
Anarchico da sempre, altruista, pur con
lo stipendio miserrimo che ha, aiuta gli anarchici disoccupati, fornendo loro
il pane per sfamarsi, davanti alla Camera del Lavoro.
Trasferitosi in Francia, continua a
vivere facendo il garzone di fornaio, ma, dopo aver litigato con il
proprietario del forno, compra un coltello affilato e si reca a Lione, dove il
presidente Carnot doveva presenziare all’Esposizione Internazionale. Scavalcata
una transenna, lo pugnala al cuore e l’uccide, forse per vendicare i lavoratori
italiani uccisi dai francesi ad Aigues Mortes, nel 1883.
Caserio diventò, agli occhi del popolo,
una specie di eroe, in quanto prese su di sé, sempre, tutte le colpe del fatto,
senza coinvolgere nessuno, anche quando
gli promisero di non condannarlo a morte se avesse fatto il nome dei complici.
All’interrogatorio disse: “Caserio fa il fornaio, non la spia!”. Di fronte alla
ghigliottina urlò: “Forza, compagni, viva l’Anarchia!”
Fu giustiziato il 16 agosto 1894.
Agli occhi del popolo, Sante Caserio
diventa un eroe.
Pietro Cini, giurista, poeta e
anarchico, gli dedica un testo che viene
musicato sulle note del canto popolare toscano “Suona la mezzanotte” e passa
alla storia come “La ballata di Sante Caserio”.
La ballata di Sante Caserio
Il sedici di agosto, sul far della mattina,
Il boia avea disposto l'orrenda ghigliottina,
Mentre Caserio dormiva ancor
Senza pensare al triste orror.
Entran nella prigione direttore e prefetto,
Con voce di emozione svegliarono il giovinetto;
Disse svegliandosi: "Che cosa c'è?".
"è giunta l'ora, alzatevi in piè".
Udita la notizia si cambiò nell'istante,
Veduta la giustizia stupì tutto tremante;
Il chieser: "Prima di andare a morir,
Dite se avete nulla da dir".
Così disse al prefetto: "Allor ch'io morto sia,
Prego, questo biglietto date alla madre mia;
Posso fidarmi che lei lo avrà ?
Mi raccomando per carità .
|
Altro non ho da dire: schiudetemi le porte,
Finito è il mio soffrire, via datemi la morte;
E tu, mia madre, dai fine al duol
E datti pace del tuo figliuol".
Poi con precauzione dal boia fu legato
E in piazza di Lione fu quindi trasportato
E spinto a forza il capo entrò
Nella mannaia che lo troncò.
Spettacolo di gioia la Francia manifesta,
Gridando: "Evviva il boia che gli tagliò la testa!"
Gente tiranna e senza cuor,
Chi sprezza e ride l'altrui dolor.
|
Si tratta di
un canto popolare, anche se le parole sono d’autore. Molti canti popolari
trattano vicende storiche che colpiscono per la loro crudezza. Durante
l’ascolto, poni la tua attenzione alla voce dell’interprete: si tratta di una
cantante popolare. L’accompagnamento è
affidato a una chitarra, mentre il ritmo, ternario, è quello tipico della
cosiddetta “ballata”, un termine che, prendendo dall’inglese “ballard”, sta a
indicare una semplice composizione popolare, che sarebbe meglio indicare con il
termine italiano di “canzone narrativa”, o “epico – lirica”.
http://www.youtube.com/watch?v=zMYY0SZv8K8
O GORIZIA, TU SEI MALEDETTA
A Gorizia avvenne una delle più grandi
tragedie della Prima Guerra Mondiale. Morirono circa 50.000 soldati e 1759 ufficiali italiani; 40.000
soldati e 862 ufficiali austriaci. Una vera carneficina.
Come premessa a questo canto ho scelto
una significativa introduzione di Luciano Luciani, spiegata in modo assai
chiaro. Puoi trovarla per intero al seguente link:
http://recensione.blogspot.it/2009/10/o-gorizia-tu-sei-maledetta-versi.html
Prima di ascoltare il brano, leggi e commenta il testo:
O GORIZIA
TU SEI MALEDETTA
La
mattina del cinque di agosto,
Si muovevano le truppe italiane
Per Gorizia, le terre lontane.
E dolente ognun si parti.
Sotto l'acqua che cadeva al rovescio,
Grandinavano le palle nemiche;
Su quei monti, colline e gran valli,
Si moriva dicendo cosi :
O Gorizia, tu sei maledetta,
Per ogni cuore che sente coscenza;
Dolorosa ci fu la partenza
E il ritorno per molti non fu.
|
O
vigliacchi che voi ve ne state,
Con le mogli sui letti di lana,
Schernitori di noi carne umana,
Questa guerra ci insegna a punir.
Voi chiamate il campo d'onore,
Questa terra di la dei confini
Qui si muore gridando "Assassini !
Maledetti sarete un di.
Cara moglie, che tu non mi senti
Raccomando ai compagni vicini
Di tenermi da conto i bambini,
Che io muoio col suo nome nel cuor.
O Gorizia, tu sei maledetta,
Per ogni cuore che sente coscenza;
Dolorosa ci fu la partenza
E il ritorno per tutti non fu.
|
http://www.youtube.com/watch?v=9l3wyJqUuQI
LA GUERRA DI PIERO
Questa
canzone è assai simile a quella del “Pover Luisin”. Cambia il periodo (stiamo
parlando, presumibilmente, della prima guerra mondiale: ci sono due persone che
si stanno sparando vis a vis, guardandosi negli occhi). Il soldato Piero è alle prese con un nemico
che non vorrebbe, ma che dovrebbe uccidere. Quello, senza troppi riguardi, gli
spara, ed egli lascia la sua Ninetta bella.
“La guerra
di Piero” è una canzone triste, di protesta, contro qualcosa di cui si potrebbe
fare davvero a meno.
Leggi il
testo di De André: semplice ed efficace, molto poetico.
Durante
l’ascolto potrai notare una musica altrettanto semplice, costituita da soli
accordi eseguiti da una semplice chitarra. Analogamente al “Pover Luisin” anche in questa canzone (una ballata) noterai
il ritmo ternario e la scelta della chitarra, come strumento non troppo
invasivo.
Dormi
sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma son mille papaveri rossi
lungo le sponde del mio torrente
voglio che scendano i lucci argentati
non più i cadaveri dei soldati
portati in braccio dalla corrente
così dicevi ed era inverno
e come gli altri verso l'inferno
te ne vai triste come chi deve
il vento ti sputa in faccia la neve
fermati Piero , fermati adesso
lascia che il vento ti passi un po' addosso
dei morti in battaglia ti porti la voce
chi diede la vita ebbe in cambio una croce
ma tu no lo udisti e il tempo passava
con le stagioni a passo di giava
ed arrivasti a varcar la frontiera
in un bel giorno di primavera
e mentre marciavi con l'anima in spalle
vedesti un uomo in fondo alla valle
che aveva il tuo stesso identico umore
ma la divisa di un altro colore
sparagli Piero , sparagli ora
e dopo un colpo sparagli ancora
fino a che tu non lo vedrai esangue
cadere in terra a coprire il suo sangue
e se gli sparo in fronte o nel cuore
soltanto il tempo avrà per morire
ma il tempo a me resterà per vedere
vedere gli occhi di un uomo che muore
|
e
mentre gli usi questa premura
quello si volta , ti vede e ha paura
ed imbraccia l'artiglieria
non ti ricambia la cortesia
cadesti
in terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che il tempo non ti sarebbe bastato
a chiedere perdono per ogni peccato
cadesti
interra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che la tua vita finiva quel giorno
e non ci sarebbe stato un ritorno
Ninetta
mia crepare di maggio
ci vuole tanto troppo coraggio
Ninetta bella dritto all'inferno
avrei preferito andarci in inverno
e
mentre il grano ti stava a sentire
dentro alle mani stringevi un fucile
dentro alla bocca stringevi parole
troppo gelate per sciogliersi al sole
dormi
sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi.
|
http://www.youtube.com/watch?v=CGGs26YhwsA
LA CANZONE DEL PIAVE
La
Battaglia del Piave fu una grande vittoria delle armi italiane, la prima conseguita nel 1918 da un esercito delle
potenze dell’Intesa sugli eserciti degli Imperi Centrali.
Da quella sconfitta il prestigioso esercito dell’Austria - Ungheria iniziò il
suo declino e accelerò di fatto lo sgretolamento della potente monarchia
Asburgica. Le conseguenze del fallimento dell’offensiva si ripercossero anche
sull’alleato tedesco come ammise anche il capo di stato maggiore tedesco,
generale Hindenburg: “L’offensiva austro – ungarica in Italia, dopo i
successi iniziali molto promettenti, era fallita…. La sfortuna del nostro
alleato era una disgrazia anche per noi”.
Il Comando Supremo italiano, nel citare
all’ordine del giorno l’eroico comportamento dell’Armata del Grappa, affermò,
nel bollettino di guerra del 18 giugno 1918: “ciascun soldato, difendendo il
Grappa, sentì che ogni palmo del monte era sacro alla Patria!”.
Le 640 medaglie al valore militare
concesse per quella battaglia, di cui 486 a soldati semplici, ne sono la
luminosa testimonianza. La clamorosa sconfitta subita dall’Esercito
austro-ungarico sul Piave provocò un repentino crollo morale nel cuore dei
valorosi combattenti avversari, i quali persero la fiducia nella vittoria delle
loro armi.
Gen. di Brig. Tullio Vidulich
LA CANZONE DEL PIAVE
Il Piave mormorava calmo e placido al
passaggio dei primi fanti il ventiquattro maggio;
l'esercito marciava per raggiunger la
frontiera per far contro il nemico una barriera!
Muti passaron quella notte i fanti,
tacere bisognava e andare avanti.
S'udiva intanto dalle amate sponde
sommesso e lieve il tripudiar de l'onde.
Era un presagio dolce e lusinghiero. il
Piave mormorò: "Non passa lo straniero!"
Ma in una notte triste si parlò di un
fosco evento e il Piave udiva l'ira e lo sgomento.
Ahi, quanta gente ha visto venir giù,
lasciare il tetto, poiché il nemico irruppe a Caporetto.
Profughi ovunque dai lontani monti,
venivano a gremir tutti i suoi ponti.
S'udiva allor dalle violate sponde
sommesso e triste il mormorio de l'onde.
Come un singhiozzo in quell'autunno
nero il Piave mormorò: "Ritorna lo straniero!"
E ritornò il nemico per l'orgoglio e
per la fame voleva sfogar tutte le sue brame,
vedeva il piano aprico di lassù: voleva
ancora sfamarsi e tripudiare come allora!
No, disse il Piave, no, dissero i
fanti, mai più il nemico faccia un passo avanti!
Si vide il Piave rigonfiar le sponde e
come i fanti combattevan l'onde.
Rosso del sangue del nemico altero, il
Piave comandò: "Indietro va', straniero!"
Indietreggiò il nemico fino a Trieste fino a
Trento e la Vittoria sciolse l'ali al vento!
Fu sacro il patto antico, tra le
schiere furon visti risorgere Oberdan, Sauro e Battisti!
L'onta cruenta e il secolare errore
Infranse alfin l'italico valore Sicure l'Alpi,
libere le sponde, e tacque il Piave, si
placaron l'onde.
Sul patrio suol vinti i torvi Imperi,
la Pace non trovò né oppressi, né stranieri!
http://www.youtube.com/watch?v=Lh7owAMdrYA
GIOVINEZZA (1922)
Dopo la
marcia su Roma, il 28 ottobre 1922, il 15 dicembre del 1922 si costituisce il
Gran Consiglio del Fascismo. Come tutti i partiti che si rispettino, anche nel
Partito Fascista era necessario un inno. “Giovinezza” risale al 1909, anno in
cui non nacque come inno fascista, in quanto era un canto goliardico degli
studenti universitari. Si intitolava “Commiato”. Nel 1917 diventò l’Inno degli
Arditi, per trasformarsi poi, nel 1924, nell’Inno Trionfale del Partito
Nazionale Fascista. Per un certo periodo sostituì anche l’Inno Nazionale Italiano.
Te ne propongo il testo:
Su, compagni in forti schiere,
marciam verso l'avvenire
Siam falangi audaci e fiere,
pronte a osare, pronte a ardire.
Trionfi alfine l'ideale
per cui tanto combattemmo:
Fratellanza nazionale
d'italiana civiltà.
Giovinezza, giovinezza
primavera di bellezza,
nel fascismo è la salvezza
della nostra libertà.
Non più ignava nè avvilita
resti ancor la nostra gente,
si ridesti a nuova vita
di splendore più possente.
Su, leviamo alta la face
che c'illumini il cammino,
nel lavoro e nella pace
sia la verà libertà.
Giovinezza, giovinezza
primavera di bellezza,
nel fascismo è la salvezza
della nostra libertà.
|
Nelle veglie di trincea
cupo vento di mitraglia
ci ravvolse alla bandiera
che agitammo alla battaglia.
Vittoriosa al nuovo sole
stretti a lei dobbiam lottare,
è l'Italia che lo vuole,
per l'Italia vincerem.
Giovinezza, giovinezza
primavera di bellezza,
nel fascismo è la salvezza
della nostra libertà.
Sorgi alfin lavoratore
giunto è il dì della riscossa
ti frodarono il sudore
con l'appello alla sommossa
Giù le bende ai traditori
che ti strinsero a catena;
Alla gogna gl'impostori
delle asiatiche virtù.
Giovinezza, giovinezza
primavera di bellezza,
nel fascismo è la salvezza
della nostra libertà
|
Puoi ascoltarlo al seguente
link:
http://www.youtube.com/watch?v=Iw08RExTyY8
Durante l’ascolto presta
attenzione al ritmo, decisamente binario, e alla voce del cantante ne la strofa:
si tratta di una voce impostata, un tenore lirico. L’atteggiamento è spavaldo.
Il coro che esegue il ritornello è altrettanto deciso e compatto.
IL
DELITTO MATTEOTTI
«Uccidete pure me, ma l’idea
che è in me non l’ucciderete mai»,
disse Matteotti all’interno del discorso che ne segnò il
destino. Giacomo Matteotti fu ucciso dalla Ceka, la polizia segreta fascista,
il 10 giugno del 1924, a causa del discorso che tenne alla Camera dove
denunciava i brogli fatti dal partito fascista durante le elezioni. Le parole,
profetiche, che disse subito dopo ai suoi compagni furono:
“Io il mio discorso l’ho fatto,
ora voi preparate l’orazione funebre per me”.
Per saperne di più su questa triste vicenda, va al seguente
link:
http://www.crimeblog.it/post/510/il-delitto-matteotti
Il “Canto di Matteotti” è la testimonianza di quel tragico
avvenimento politico. Il testo è di un autore anonimo.
CANTO DI
MATTEOTTI
Or se
ascoltar mi state
canto il
delitto di quei galeotti
che con gran
rabbia vollero trucidare
il deputato
Giacomo Matteotti.
Erano tanti
viola rossi e twin…
il capo
della banda Benito Mussolin.
dopo che
Matteotti avean trovato
mentre che
stava andando al parlamento
Venne su di
una macchina caricato
da quegli
ignobil della banda nera.
In mezzo a
un bosco fu trasportato là
Da quegli
aguzzini gli disser con furor
Perché tu il
fascismo hai sempre odiato
Ora dovrai
morir qui sull’istante
e dopo
averlo a torto bastonato
di pugnalate
gliene dieder tante.
Così per
mano di quei vili traditor
Moriva
Matteotti capo dei lavorator.
http://www.youtube.com/watch?v=FRf-00o61Js&feature=related
FACCETTA NERA
Tra le
canzoni più in voga del fascismo ce n’erano alcune che esaltavano vari aspetti
del regime, tra cui le guerre coloniali.
Nacquero
vari motivetti, delle marcette orecchiabili che divennero presto popolari. Tra
queste, la più celebre era “Faccetta nera”.
Te ne
propongo l’ascolto. Leggi prima il testo.
FACCETTA NERA
Se tu dall'altipiano guardi il mare,
Moretta che sei schiava fra gli schiavi,
Vedrai come in un sogno tante navi
E un tricolore sventolar per te.
Faccetta nera, bell'abissina
Aspetta e spera che già l'ora si avvicina!
quando saremo insieme a te,
noi ti daremo un'altra legge e un altro Re.
La legge nostra è schiavitù d'amore,
il nostro motto è libertà e dovere,
vendicheremo noi camicie nere,
Gli eroi caduti liberando te!
Faccetta nera, bell'abissina
Aspetta e spera che già l'ora si avvicina!
quando saremo insieme a te,
noi ti daremo un'altra legge e un altro Re.
Faccetta nera, piccola abissina,
ti porteremo a Roma, liberata.
Dal sole nostro tu sarai baciata,
Sarai in Camicia Nera pure tu.
Faccetta nera, sarai Romana
La tua bandiera sarà sol quella italiana!
Noi marceremo insieme a te
E sfileremo avanti al Duce e avanti al Re!
http://www.youtube.com/watch?v=iFPlR4jbsDc
Se vuoi documentarti meglio
sulle guerre coloniali italiane, vai al seguente link:
http://it.wikipedia.org/wiki/Colonialismo_italiano#La_conquista_della_Libia
“SE PRENDEREMO IL NEGUS”
Questo canto fascista si
riferisce alla guerra di Etiopia. Negus è un titolo nobiliare etiope corrispondente a quello di re. L’imperatore d’Etiopia a
quel tempo era Hailè Selassiè.
Per saperne di più sulla guerra di Etiopia, va al
seguente link:
http://www.storiaxxisecolo.it/fascismo/fascismo14.htm
Ecco il testo di: “Se prenderemo
il Negus”. Leggilo attentamente, prima di ascoltare la canzone.
Se prenderemo il Negus,
gliene farem di belle,
se lui farà il testardo
noi gli farem la pelle!
Dai, dai, dai, l'abissino vincerai,
se l'abissino è nero
gli cambierem colore
a colpi di legnate,
o gli verrà il pallor!
Dai, dai, dai, l'abissino vincerai,
il general De Bono
ci ha detto in confidenza
se prenderemo il Negus
ci manderà in licenza.
Dai, dai, dai, l'abissino vincerai,
orsì facciamo in coro
una gran preghiera:
su manda in Abissinia
pure anche Carnera.
Dai, dai, dai, l'abissino vincerai,
io parto per l'oriente
e vado in Abissinia
e a tutti i nemici
farò la permanente!
Dai, dai, dai, l'abissino vincerai
se il Negus non risponde
e all'armi fa l'appello,
noi gli farem gustar
l'antico manganello!
Dai, dai, dai, l'abissino vincerai,
C'è una nazione grande,
che ha molti quattrini,
noi in compenso a Roma
abbiamo Mussolini!
Dai, dai, dai, l'abissino vincerai!
http://www.youtube.com/watch?v=8_cEoKtZ7bQ
TI SALUTO VADO IN ABISSINIA
“Ti saluto, vado in Abissinia” fu
composta in occasione della guerra d’Etiopia, scritta da Pinchi e cantata da
Crivel. Ebbe un grandissimo successo, superato solo da “Faccetta nera”. La
canzone è del 1940.
Ecco il testo:
Si formano le schiere e
i battaglion
che van marciando verso la stazion.
Hanno lasciato il loro paesello
cantando al vento un gaio ritornello.
Il treno parte e ad ogni finestrin
ripete allegramente il soldatin.
Io ti saluto e vado in Abissinia
cara Virginia, ma tornerò.
Appena giunto nell'accampamento
dal reggimento ti scriverò.
Ti manderò dall'Africa un bel fior
che nasce sotto il ciel dell'equator.
Io ti saluto e vado in Abissinia
cara Virginia, ma tornerò.
Quel giovane soldato tutto ardor
c'è chi sul petto ha i segni del valor
ma vanno insieme pieni di gaiezza
cantando gli inni della giovinezza.
Il vecchio fante che non può partir
rimpiange in cuore di non poter dir.
Io ti saluto e vado in Abissinia
cara Virginia, ma tornerò.
Appena giunto nell'accampamento
dal reggimento ti scriverò.
Ti manderò dall'Africa un bel fior
che nasce sotto il ciel dell'equator.
Io ti saluto e vado in Abissinia
cara Virginia, ma tornerò.
http://www.youtube.com/watch?v=iAYdqZ9oY_w&feature=fvst
BELLA CIAO CANTO
DEI PARTIGIANI
Si definisce “Partigiano” una persona che combatte
senza appartenere ad un esercito regolare, per contrastare uno o più eserciti
regolari. Nell’Italia del secondo conflitto mondiale i Partigiani diedero
origine a quello che fu definito come “il fenomeno della Resistenza”.
“Bella
ciao” è la più celebre canzone dei partigiani. Anche
in questo caso, come per molte canzoni, la musica deriva da un canto popolare
scritto in Emilia: un canto delle mondariso.
Cantata dai
Partigiani, probabilmente nell’Appennino emiliano, questa canzone divenne
celebre nel 1948, al festival della Gioventù di Berlino, eseguita da un gruppo
di studenti italiani.
Ecco il testo della versione partigiana.
Una
mattina mi sono svegliato,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao,
ciao!
Una mattina mi sono svegliato,
e ho trovato l'invasor.
O partigiano, portami via,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao,
ciao!
O partigiano, portami via,
ché mi sento di morir.
E se io muoio da partigiano,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao,
ciao!
E se io muoio da partigiano,
tu mi devi seppellir.
E seppellire lassù in montagna,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao,
ciao!
E seppellire lassù in montagna,
sotto l'ombra di un bel fior.
Tutte le genti che passeranno,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao,
ciao!
Tutte le genti che passeranno,
Mi diranno «Che bel fior!»
«È questo il fiore del partigiano»,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao,
ciao!
«È questo il fiore del partigiano, morto per
la libertà!»
Link Bella ciao
http://www.youtube.com/watch?v=4CI3lhyNKfo
FISCHIA IL VENTO
La musica di
“Fischia il vento” deriva dalla canzone russa “Katiuscia”, alla quale sono
state cambiate le parole, per adattarla a un canto partigiano. Il testo,
scritto nel settembre 1943, è di Felice Cascione. Si tratta di un incitamento
al movimento partigiano. Divenne l’inno ufficiale di tutte le brigate
partigiane del Nord Italia.
Ecco il testo:
Fischia
il vento, infuria la bufera,
scarpe rotte eppur bisogna andar,
a conquistare la rossa primavera
dove sorge il sol dell'avvenir.
Ogni contrada è patria del ribelle,
ogni donna a lui dona un sospir,
nella notte lo guidano le stelle
forte il cuore e il braccio nel colpir.
Se ci coglie la crudele morte,
dura vendetta verrà dal partigian;
ormai sicura è già la dura sorte
del fascista vile traditor.
Cessa il vento, calma è la bufera,
torna a casa il fiero partigian,
sventolando la rossa sua bandiera;
vittoriosi e alfin liberi siam.
http://www.youtube.com/watch?v=Bg86372YP40&feature=related
L’ATOMICA CINESE
La canzone, scritta da Francesco Guccini, è di una violenza inaudita: il ritmo
binario, il verso ottonario del testo, la strumentazione pop rock degli anni
settanta (eseguita dal gruppo dei Nomadi), le voci esplicite, schiette, a volte
violente di Augusto Daolio e dello stesso Guccini, rendono un’atmosfera
disperata, violenta, esplicita, senza giri di parole.
Si parla di
una guerra dove non ci si guarda più in faccia, per spararsi, ma di un
combattimento in cui basta schiacciare un pulsante per sganciare un proiettile
dall’alto, per sterminare migliaia di uomini, e per distruggere tutto ciò che
c’è: dalle bandiere politiche alle sedi religiose, ai pesci che galleggiano
nell’acqua, al futuro di milioni di persone perché la pioggia che cadrà
contaminerà tutta la terra.
La musica e
le parole, estremamente coerenti tra loro, esaltano il significato di questa
canzone, ben lontana dallo spirito delle ballate ottocentesche che avevamo
ascoltato in precedenza.
Leggi con
attenzione il testo, prima di ascoltare la canzone.
Ascoltando
la canzone, ti accorgerai dello spietato realismo con cui essa è stata scritta.
L’ATOMICA
CINESE
Si è levata dai deserti in
Mongolia occidentale
una nuvola di morte, una nuvola spettrale che va, che va, che va...
Sopra i campi della Cina, sopra il tempio e la risaia,
oltrepassa il Fiume Giallo, oltrepassa la muraglia e va, e va, e va...
Sopra il bufalo che rumina, su una civiltà di secoli,
sopra le bandiere rosse, sui ritratti dei profeti,
sui ritratti dei signori
sopra le tombe impassibili degli antichi imperatori...
Sta coprendo un continente, sta correndo verso il mare,
copre il cielo fino al punto dove l' occhio può guardare e va, e va, e va...
Sopra il volo dei gabbiani che precipitano in acqua,
sopra i pesci che galleggiano e ricoprono la spiaggia e va, e va, e va...
Alzan gli occhi i pescatori verso un cielo così livido,
le onde sembra che si fermino, non si sente che il silenzio
e le reti sono piene
di cadaveri d'argento...
Poi le nuvole si rompono e la pioggia lenta cade
sopra i tetti delle case, tra le pietre delle strade,
sopra gli alberi che muoiono, sopra i campi che si seccano,
sopra i cuccioli degli uomini, sulle mandrie che la bevono,
sulle spiagge abbandonate una pioggia che è veleno
e che uccide lentamente, pioggia senza arcobaleno
che va, che va, che va, che va, che va!
http://www.youtube.com/watch?v=gtcAq8Df5UQ
C’ERA UN RAGAZZO
CHE COME ME
Più di
cinque milioni di morti: questa la mostruosa cifra, per difetto, di cui si è
parlato per la guerra del Vietnam: un conflitto iniziato nel 1960 e terminato
nel 1975, con la presa di Saigon.
Un conflitto
che ha visto muoversi milioni di persone contrarie alla guerra, in marce
pacifiste senza fine.
La guerra
del Vietnam fece scalpore per la sua violenza e per la presunta inutilità in
tutti i Paesi del mondo, Italia compresa.
Nella
canzone italiana, abbiamo una testimonianza, una presa di posizione contro la
guerra in “C’era un ragazzo che come me”, scritta da Luisini e Migliacci ed interpretata
da Gianni Morandi, nel 1966.
Anche questa
canzone, come quelle ottocentesche, parla di un soldato morto in guerra, dopo
aver lasciato i suoi ideali, la sua musica e la sua chitarra. Al posto del
cuore avrà due medaglie o tre…
Nota,
ascoltandola, come la musica segua il testo in ogni sua parte: dal ricordo del
ragazzo, seguito da un accompagnamento arpeggiato, al brusco cambiamento di
“stop, coi Rolling Stones”, al ruggito della mitraglia.
C'era un ragazzo
che come me amava i Beatles
e i Rolling Stones
girava il mondo, veniva da
gli Stati Uniti d'America.
Non era bello
ma accanto a sé aveva mille donne se
cantava «Help» e «Ticket to ride»
o «Lady Jane» o «Yesterday».
Cantava «Viva la libertà» ma
ricevette una lettera,
la sua chitarra mi regalò
fu richiamato in America.
Stop! coi Rolling Stones!
Stop! coi Beatles. Stop!
Gli han detto vai nel Vietnam
e spara ai Vietcong...
Ta ta ta ta ta...
C'era un ragazzo
che come me amava i Beatles
e i Rolling Stones
girava il mondo, ma poi finì
a far la guerra nel Vietnam.
Capelli lunghi non porta più,
non suona la chitarra ma
uno strumento che sempre dà
la stessa nota ratatata.
Non ha più amici, non ha più fans,
vede la gente cadere giù:
nel suo paese non tornerà
adesso è morto nel Vietnam.
Stop! coi Rolling Stones!
Stop! coi Beatles. Stop!
Nel petto un cuore più non ha
ma due medaglie o tre...
Ta ta ta ta ta...
http://www.youtube.com/watch?v=S17diigwyBI
BLOWIN’IN THE WIND
Negli anni
Sessanta, in particolar modo durante il
periodo della Guerra del Vietnam, molti cantautori producono testi pacifisti.
Tra questi gli americani Bob Dylan e Joan Baez.
Una delle
più celebri canzoni pacifiste del nostro secolo è “Blowin’in the wind”.
E’ una
ballata in ritmo binario e andamento moderato che parla degli errori dell’uomo
e di quanti ancora ne farà prima di giungere ad una improbabile soluzione.
Anche in
questo caso, segui l’ascolto leggendo il testo.
La versione
che ti propongo di ascoltare è quella eseguita da un giovanissimo Dylan, in
diretta, alla TV, nel 1969. Nota come, oltre all’inseparabile chitarra, questo
cantautore utilizzi l’armonica a bocca.
How many roads must a man walk down
Before you call him a man?
Yes, 'n' how many seas must a white dove sail
Before she sleeps in the sand?
Yes, 'n' how many times must the cannon balls fly
Before they're forever banned?
The answer, my friend, is blowin' in the wind,
The answer is blowin' in the wind.
How many times must a man look up
Before he can see the sky?
Yes, 'n' how many ears must one man have
Before he can hear people cry?
Yes, 'n' how many deaths will it take till he knows
That too many people have died?
The answer, my friend, is blowin' in the wind,
The answer is blowin' in the wind.
How many years can a mountain exist
Before it's washed to the sea?
Yes, 'n' how many years can some people exist
Before they're allowed to be free?
Yes, 'n' how many times can a man turn his head,
Pretending he just doesn't see?
The answer, my friend, is blowin' in the wind,
The answer is blowin' in the wind.
http://www.youtube.com/watch?v=vWwgrjjIMXA
INNO NAZIONALE
AMERICANO
L’Inno
Nazionale Americano risale al 1815, ma fu adottato come inno solo nel 1931.
Rappresenta
la nazione, cui si deve portare rispetto. Per questo motivo viene eseguito in
piedi, con molta devozione.
Devozione e
rispetto che, comunque, mancarono a Jimy Hendrix quando, durante il raduno di
Woodstock, nel 1969, eseguì l’inno con la sua chitarra elettrica, mettendo in
luce, più che il rispetto verso la nazione, il suo disappunto per le scelte
politiche e belliche che aveva fatto in quegli anni.
Esecuzione
graffiante, irriverente, tendenzialmente contraria al “regime”.
Ascolta
l’inno nelle due versioni: dapprima l’originale, poi quella schitarrata da
Hendrix che, comunque, nel suo genere, è considerata uno dei suoi capolavori.
Inno
americano originale
http://www.youtube.com/watch?v=b_POJYFVTVE
Inno alla
Jimi Hendrix
http://www.youtube.com/watch?v=wt3cYpFLJiM
RUSSIANS
Gli anni Ottanta furono il periodo
culminante della cosiddetta Guerra Fredda tra gli Stati Uniti d’America e la
Russia, guerra iniziata dopo il secondo conflitto mondiale e che, ufficialmente, terminò nel 1989, con la
caduta del muro di Berlino. Una guerra fatta non di bombe, ma che, da un
momento all’altro, poteva scatenare una pioggia di bombe.
Sting scrive “Russians” nel 1985, e la
contorna con un solenne e sontuoso tema tratto da una suite di Prokofiev.
Anche in questa canzone si può apprezzare
il pensiero del cantautore contro la guerra. La sua voce graffiante ed
espressiva dà al canto un senso particolare, attinente al testo, al suo
significato ed alle sensazioni che vuole esprimere.
TESTO TRADOTTO
In Europa e in America
L’isterismo si amplifica
Condizionato per
rispondere alle minacce
Racchiuse nei discorsi
retorici dei Sovietici
Krushchev ha detto “Vi
seppelliremo tutti”
Io non assecondo questi
concetti
Sarebbe una mossa
davvero stupida da fare
Se poi anche i Russi
hanno dei figli da amare
Come posso salvare mio
figlio
Dal mortale giocattolo
di Oppenheimer
Il monopolio del buon
senso non è detenuto
Da una sola parte
politica dello steccato
Condividiamo la stessa
biologia
A dispetto
dell’ideologia
Credetemi quando vi dico
Spero che anche i Russi
abbiano figli da amare
Nella storia non c’è
alcun precedente
Aver messo le parole in
bocca al presidente
Non esiste una guerra
che si vince
Non è più una bugia che
ci convince
Reagan dice “Vi
proteggeremo tutti”
Io non assecondo questi
concetti
Credetemi quando vi dico
Spero che anche i Russi
abbiano figli da amare
Condividiamo la stessa
biologia
A dispetto
dell’ideologia
Ciò che ci potrebbe
salvare
E’ che anche i Russi
abbiano figli da amare
http://www.youtube.com/watch?v=wHylQRVN2Qs
WE WORK THE BLACK SEAM
La paura del nucleare e la consapevolezza dell’inquinamento, oltre alla
lotta per la difesa del lavoro animano questa canzone di Sting, del 1985.
Lo scontro tra l’auspicabile produzione di energia pulita, e la realtà in
cui vivono i minatori inglesi sono i temi ricorrenti del testo di Sting.
Il carbone sporcherà le città, ma il carbonio quattordici è mortale per
dodicimila anni.
Nella canzone, musicalmente parlando, potrai notare un ostinato ritmico che
sembra essere lo scalpellio dei minatori nelle miniere di carbone.
La musica è spettrale, con pochi momenti rilevanti, come una rassegnazione
senza speranza.
TESTO TRADOTTO
Questo posto è cambiato
per sempre
La tua teoria economica ha detto che sarebbe cambiato
E 'difficile per noi capire:
Non possiamo abbandonare i nostri posti di lavoro nel modo in cui
dovremmo
Il nostro sangue ha macchiato il carbone
Abbiamo scavato tunnel dentro l'anima della nazione
Abbiamo più sterline e penny, ma
la nostra teoria economica non ha senso.
Un giorno, in epoca nucleare
Potranno comprendere la nostra rabbia
Costruiscono macchine che non possono controllare
E seppelliscono i rifiuti in un buco grande grande
Il mondo doveva diventare pulito ed economico
Ma il carbonio quattordici è mortale per dodicimila anni.
Lavoriamo insieme la vena nera.
La vena si trova sotto terra,
Tre milioni di anni di pressione verso il basso
Attraversiamo antiche foreste
E accendere migliaia di città con le nostre mani.
Le nostre vite coscienti sono profonde
Si aggrappano sul vostro montagna, mentre dormiamo
Questo modo di vivere è parte di me
Il prezzo non è così solo mi permetta di essere
E se i bambini piangono
Il mondo a loro volta canterà loro la ninna nanna
Dopo aver affondato senza lasciare traccia
L'universo mi succhiare al suo posto
http://www.youtube.com/watch?v=sDYGlDV4ldo
IL CANTICO DEI
DROGATI
Uno dei
problemi più sentiti, ai giorni nostri, specialmente nel mondo dei giovani, è
quello della droga. Alcuni musicisti hanno parlato spesso di questo problema,
proponendolo in modo originale, rispettando sia il loro stile musicale, sia il
tempo in cui l’hanno trattato.
Ascolteremo
ora alcune canzoni, partendo dalle prime che si sono occupate di questo tema.
Sicuramente,
una delle prime canzoni a porsi il problema droga è stata il “Cantico dei
drogati” di Fabrizio de André, scritto nel 1968.
Nella
società degli anni Sessanta si affaccia per la prima volta, nelle grandi città,
lo spettro della droga, e si comincia a prenderne coscienza.
Leggendo il
testo di De Andrè, accanto al giovane che si “diverte” a giocherellare a palla
con il proprio cervello, notiamo una serie di domande, di allucinazioni che
appaiono al giovane che continua a chiedersi cose, il più delle volte senza
senso. Il problema droga, in quegli anni, è ancora all’inizio. Se ne parla, ma
non si sa ancora esattamente a cosa si vada incontro. Potremmo parlare di una
“considerazione in gran parte inconsapevole”.
Ho
licenziato Dio
gettato via un amore
per costruirmi il vuoto
nell'anima e nel cuore.
Le parole che dico
non han più forma né accento
si trasformano i suoni
in un sordo lamento.
Mentre fra gli altri nudi
io striscio verso un fuoco
che illumina i fantasmi
di questo osceno giuoco.
Come potrò dire a mia madre che ho paura?
Chi mi riparlerà
di domani luminosi
dove i muti canteranno
e taceranno i noiosi
quando riascolterò
il vento tra le foglie
sussurrare i silenzi
che la sera raccoglie.
Io che non vedo più
che folletti di vetro
che mi spiano davanti
che mi ridono dietro.
Come potrò dire la mia madre che ho paura?
|
Perché
non hanno fatto
delle grandi pattumiere
per i giorni già usati
per queste ed altre sere.
E chi, chi sarà mai
il buttafuori del sole
chi lo spinge ogni giorno
sulla scena alle prime ore.
E soprattutto chi
e perché mi ha messo al mondo
dove vivo la mia morte
con un anticipo tremendo?
Come potrò dire a mia madre che ho paura?
Quando scadrà l'affitto
di questo corpo idiota
allora avrò il mio premio
come una buona nota.
Mi citeran di monito
a chi crede sia bello
giocherellare a palla
con il proprio cervello.
Cercando di lanciarlo
oltre il confine stabilito
che qualcuno ha tracciato
ai bordi dell'infinito.
Come potrò dire a mia madre che ho paura?
Tu che m'ascolti insegnami
un alfabeto che sia
differente da quello
della mia vigliaccheria
|
http://www.youtube.com/watch?v=bbEkrVHKoQI
LILLY
Venditti
scrive “Lilly” nel 1975, anno in cui si sa bene a cosa si va incontro se ci si
droga. E la consapevolezza di ciò che accade è ben espressa dalle parole, di
una crudezza esasperata, presenti in questo testo, dove la ragazza muore
atrocemente, senza speranza alcuna. Sola.
Leggi il
testo e ascolta la musica.
Confronta
poi testo e musica de “Il Cantico dei drogati” di De Andrè con testo e musica
di Venditti. Troverai delle grandi differenze.
Quattro buchi nella pelle
carta di giornale
nuda e senza scarpe
bianca, e non in ospedale
senza catene
senza denti per mangiare
una montagna di rifiuti
nessun latte ti potra' salvare...
Studiavamo insieme
viaggiavamo insieme
lilly...
Quale treno ora?
Quale libro ora?
Quale amore ora ti si potra' ridare?
Lilly...
la mia stanza e' gelata
dove sei andata?
I tuoi poeti maledetti,
le tue collane...
Lilly...
li dovevano arrestare
ti dovevano guarire
Lilly...
quattro arance la domenica mattina
dopo due anni
non mi riconoscevi
eravamo due bambini
io non ero il tuo dottore
non riuscivi a fare l'amore...
Lilly siringa, polizia
Quale treno ora?
Quale libro ora?
Quale amore ora,
ti si potra ridare?
Lilly amore,
amore mio...
http://www.youtube.com/watch?v=CsBHxxWd_ys
MANDELA DAY (1985)
Nelson Mandela (1918 – 2013) è
stato uno dei leader del movimento anti-apartheid ed ha contribuito in maniera
determinante alla caduta del regime. Nel 1993 gli venne conferito il premio
Nobel per la pace. Nel 1994 viene eletto presidente del Sudafrica, fino al
1999.
A metà degli anni '80, in gran
parte per iniziativa di Kerr, i Simple Minds iniziarono a impegnarsi
pubblicamente in politica, sostenendo Amnesty International, e organizzando nel
Regno Unito e negli Stati Uniti d'America grandi concerti contro il regime
dell'apartheid sudafricano. Di questo periodo è il brano Mandela Day, in onore
del leader anti-segregazionista.
TESTO
TRADOTTO
Sono 25 anni che hanno portato via quell’uomo. Ora la
libertà si avvicina ogni giorno di più. Asciuga le lacrime dai tuoi occhi
rattristati. Hanno detto che Mandela è libero e allora esci fuori
Oh oh oh oh il giorno di Mandela
Oh oh oh oh Mandela è libero
Da quel giorno sono passati 25 anni. 25 anni
chiuso dietro a quattro muri notte e giorno
ancora I bambini non conoscono la storia di quell’uomo, ma io so cosa sta
succedendo aldilà della tua terra
Na na na na il giorno di Mandela Oh oh oh oh Mandela è libero!
Se le tue lacrime stanno scorrendo,
allora asciugale dal tuo viso.
Riesco a sentire questo battito nel profondo. Sono passati 25 anni da quando hanno portato
via quell’uomo e ora il mondo scende in strada dicendo che Nelson Mandela è
libero.
Oh oh oh oh Mandela è libero!
I soli che sorgono indicano a Mandela la via. Sono passati 25 anni da quel
giorno
Oh oh oh oh Mandela è libero Oh oh oh oh Mandela è libero
Na na na na il giorno di Mandela Na na na na Mandela è libero
25 anni fa cosa successe? Sappiamo cosa sta
succedendo perché sappiamo cosa succeed
TESTO ORIGINALE
was 25 years they take that
man away Now the freedom moves in closer
every day
Wipe the tears down from your saddened eyes
They say Mandela's free so step outside
Oh oh oh oh Mandela day Oh oh oh oh
Mandela's free
It was 25 years ago this very day Held
behind four walls all through night and day
Still the children know the story of that man
And I know what's going on right through your land
25 years ago Na na na na Mandela
day Oh oh oh Mandela's free
If the tears are flowing wipe them from your face I can feel his heartbeat moving deep inside
It was 25 years they took that man away And
now the world come down say Nelson Mandela's free
Oh oh oh oh Mandela's free
The rising suns sets Mandela on his way It’s
been 25 years around this very day From
the one outside to the ones inside we say
Oh oh oh oh Mandela's free Oh oh oh set
Mandela free
Na na na na Mandela day Na na na na
Mandela's free
25 years ago What's going on And we know what's going on Cos we know what's going on zionista
Nelson Mandela
http://www.youtube.com/watch?v=2vys68i3gag
Se vuoi
saperne di più su questo grandissimo uomo politico, premio Nobel per la Pace
nel 1993, va al seguente link:
http://it.wikipedia.org/wiki/Nelson_Mandela
THEY DANCE ALONE
(BALLANO
DA SOLE)
Questo video
di Sting ricorda un fatto atroce, avvenuto tra gli anni 70 ed 80 nel Cile governato da Pinochet. Migliaia, decine di
migliaia di oppositori al regime cileno “scomparvero” e furono ritrovati dopo
anni in fosse comuni. Da sempre sensibile ai fatti sociali e politici, Sting
scrive questa canzone nel 1987, per Amnesty International. Le donne ballano da
sole il cueca, una danza cilena di coppia. Essendo scomparsi i loro mariti,
ballano con le magliette che portano la loro fotografia. Ballano sole.
traduzione
del testo tratta dal disco
Perché queste donne stan ballando da
sole?
Perché c'è tristezza nei loro occhi?
Come mai questi soldati
Hanno lo sguardo fisso come di pietra
Non riesco a vedere cos'è che disprezzano tanto
Ballano con chi è disperso
Ballano con chi è morto
Ballano con persone invisibili
Il loro strazio è senza parole
Danzano con i loro padri
Danzano con i loro figli
Danzano con i loro mariti
Ballano da sole, ballano da sole
E' l'unica protesta che gli è concessa
Ho visto le loro facce silenziose gridare così forte
Se osassero dire queste parole
Sparirebbero anche loro
Un'altra donna sul tavolo di tortura
Che altro possono fare
Ballano con chi è disperso...
Verrà il giorno in cui danzeremo sulle
loro tombe
E canteremo la nostra libertà
Un giorno rideremo di gioia
E danzeremo
|
Ellas danzan con los desaparecidos
Ellas danzan con
los muertos
Ellas danzan con amores invisibles
Ellas danzan
con silenciosa angustia
Danzan con su padres
Danzan con sus hijos
Danzan con sus esposos
Ellas danzan solas
Danzan solas
Hey, signor Pinochet
Hai seminato
vento e raccoglierai tempesta (*)
E' il denaro straniero che ti sostiene
Ma un giorno il denaro smetterà di arrivare
Niente più salario per i tuoi carnefici
Niente più fondi per le tue armi
Pensa a tua madre
Mentre danza con un figlio invisibile
Verrà il giorno in cui danzeremo sulle loro tombe
E canteremo la nostra libertà
Un giorno rideremo di gioia
E danzeremo
|
(*) Letteralmente: "hai seminato un raccolto amaro",
nell'inglese colloquiale corrisponde al nostro modo di dire "Hai
seminato vento e raccoglierai tempesta"
|
http://www.youtube.com/watch?v=MS_bN5ECJTI&ob=av2n